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29 novembre 2018
Caregiver sieropositivi in prima linea nella lotta all’AIDS in Africa
Dotty Nyambok è una HIV Counselor presso l’Embakasi Health Centre di Nairobi, in Kenya. È arrivata a metà della sua lista di pazienti quando due ragazze entrano nella tenda.
Helima ha 18 anni; è qui perché teme di aver contratto l’HIV dal suo ragazzo. La sua amica Winny l’ha accompagnata per darle sostegno.
Dotty inizia un rituale che ormai conosce fin troppo bene: scarta un ago sterile, preleva una piccola quantità di sangue dal dito di Helima e lo raccoglie su una striscia reattiva. Poi imposta il timer. 15:00, 14:59, 14:58...
Nell’attesa, Dotty chiede a Helima cosa pensa che accadrà se il risultato fosse positivo. Con angosciante sicurezza, la ragazza risponde che morirà.
È in questo momento che di solito Dotty racconta la sua verità. Lo fa quando avverte che la persona che ha di fronte ha il disperato bisogno di gentilezza e speranza.
“Sono sieropositiva,” dice Dotty. “Anche se hai l’HIV puoi continuare a vivere, perché prenderai le medicine.”
Le ragazze si scambiano un sorriso sorpreso, timido, all’ombra della tenda dell’Embakasi, una struttura che promuove l’accesso alle terapie per l’HIV grazie al sostegno di Apple e (RED) dal 2006.
Da quando fu fondata da Bono e Bobby Shriver, (RED) ha raccolto più di 600 milioni di dollari a sostegno del Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, 200 milioni di dollari dei quali sono frutto della collaborazione con Apple, la più grande azienda donatrice dell’organizzazione.
L’anno scorso in Kenya si sono registrati 53.000 nuovi casi di HIV. L’infezione colpisce le giovani donne con un rapporto di due a uno rispetto agli uomini. Per quanto siano ancora numeri troppo alti, il miglioramento è tangibile rispetto agli anni passati.
Nel 2000, uno sconcertante 9,3% della popolazione adulta del Kenya era sieropositivo. In quello stesso periodo, le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilirono che gli antiretrovirali salvavita, o ARV, dovessero essere somministrati solamente quando la conta CD4, che misura la salute del sistema immunitario, scendeva al di sotto di un valore molto basso. Significava che per avere accesso ai farmaci ARV, i pazienti dovevano essere gravemente malati. Per molti, era semplicemente troppo tardi.
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Uno scenario desolante che Dotty ha vissuto sulla propria pelle, quando nel 2007, a soli 19 anni, scoprì di essere incinta. Durante una visita prenatale, un medico le disse che era sieropositiva e la indirizzò a una clinica a due ore di distanza. Niente counseling, niente compassione, niente follow-up del paziente.
Un’esperienza che la traumatizzò, fino a spingerla a non voler ammettere la realtà: non lo raccontò a nessuno e non si rivolse a un centro per ricevere le cure adeguate.
Il bimbo di Dotty morì fra le sue braccia a sei settimane di vita. Fu sepolto in una scatola per il trasporto dell’olio. La più piccola che riuscirono a trovare.
Alcuni mesi dopo, Dotty andò all’Embakasi Health Centre.
È una delle migliaia di strutture in Kenya e in altri sette Paesi dell’Africa subsahariana che iniziarono a ricevere aiuti dal Fondo globale nel 2002.
Il Fondo globale ha cambiato radicalmente l’accesso alle cure per l’HIV in Africa invertendo il precedente modello di trattamento al fine di fornire gli antiretrovirali a quasi 15 milioni di persone dal momento stesso in cui risultano positive. Grazie a questo intervento, in Kenya le nuove infezioni sono diminuite del 52% dal 2000. L’anno scorso solamente il 4,8% della popolazione adulta è risultato sieropositivo.
“Ho deciso di diventare una Counselor perché non voglio che ciò che è successo a me possa accadere di nuovo.”
Nel 2009, l’Embakasi ha aperto un ambulatorio dedicato ai pazienti sieropositivi, che distribuisce gli antiretrovirali grazie soprattutto alle donazioni del Fondo globale.
“Il Fondo globale e (RED) hanno avuto un enorme impatto sulle vite dei pazienti sieropositivi,” spiega Robina Anene Muli, che gestisce l’Embakasi Health Centre. “In particolare per quanto riguarda i kit per il test HIV, gli antiretrovirali e altri farmaci; l’80% delle nostre forniture e dei nostri fondi proviene da queste due organizzazioni.”
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Durante il primo anno all’Embakasi, Dotty ha conosciuto le Mentor Mothers, un gruppo di peer educator sieropositive che hanno dato alla luce bambini HIV negativi dopo aver assunto gli antiretrovirali. Il gruppo è stato creato nell’ambito dell’ampliamento dell’ambulatorio specializzato grazie al contributo del Fondo globale.
Dopo alcuni mesi di cura, Dotty ha scoperto di essere nuovamente incinta.
Il 7 novembre del 2009, Dotty ha partorito un bel maschietto sanissimo. “In quel momento ho trovato una ragione per continuare a vivere,” racconta. “Quella ragione è Morgan. Mi ha salvato la vita.”
Quando Morgan aveva sei mesi, Dotty ha fatto domanda per diventare una Mentor Mother all’Embakasi.
“Ho deciso di diventare una Counselor perché non voglio che ciò che è successo a me possa accadere di nuovo,” spiega. “Il mio obiettivo è toccare il cuore delle persone. Dopo la diagnosi sento un forte legame con i pazienti.”
In molte strutture, i peer educator sieropositivi come Dotty stanno cambiando il modo in cui le persone convivono con l’HIV.
“I peer educator sono un aspetto fondamentale dei programmi terapeutici più efficaci,” afferma Luisa Engel, Chief Impact Officer di (RED). “Grazie al loro lavoro, le persone che ne hanno maggiormente bisogno ricevono informazioni che possono salvare loro la vita; contribuiscono inoltre con forza ad abbattere lo stigma sociale legato alla sieropositività.”
Tre anni fa, Dotty ha assunto un nuovo ruolo all’Embakasi, quello di HIV Testing Counselor. Qualche volta si fa il test davanti ai suoi pazienti, per dimostrare che essere sieropositivi non significa dover rinunciare a una vita piena e appagante.
“Vorrei che la gente avesse una diversa percezione dell’HIV,” spiega Dotty. “Ed è ciò che spero di ottenere quando svelo la mia sieropositività.”
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Nella tenda il risultato del test di Helima è pronto. Dotty mette la striscia reattiva fra un esempio di risultato positivo e uno di risultato negativo.
“Dimmi cosa vedi e cosa significa,” chiede Dotty.
“Negativo,” risponde Helima. In un attimo la tensione svanisce. Dopo una chiacchierata sull’importanza di proteggersi, Dotty saluta le ragazze.
Nel tragitto verso casa Dotty compra della carne per la cena, che preparerà sulla piastra nel monolocale in cui vive con Morgan, che ora ha nove anni.
Dopo cena, alle 19:58, suona l’allarme sul telefono di Dotty. Segna l’inizio di un rituale che ripetono ogni sera da due anni, da quando Morgan è abbastanza grande per capire la malattia della mamma.
Morgan prende un flacone di pillole da una piccola credenza e ne preleva una con grande attenzione. Poi la passa alla mamma, che la assume con dell’acqua.
Queste sono le persone in prima linea nella lotta all’AIDS in Africa. Ed è così che vincono: un atto di gentilezza alla volta.
Immagini dell’Embakasi Health Centre